Yusuf ha solo nove anni quando dei banditi entrano nella sua casa e uccidono i suoi genitori.
Uno degli uomini incaricati degli accertamenti dell’omicidio, Selahattin Bey, mosso a compassione dal bambino rimasto solo, decide di adottarlo.
La moglie dell’uomo, però, non nasconde l’antipatia che prova per questo bambino che anzi trova decisamente inquietante, considerando che Yusuf non ha ancora mai pianto per la brutale fine dei genitori, e rifiuta categoricamente di interessarsene.
Nonostante l’affetto di Selahattin Bey, Yusuf crescerà quindi da solo, privo di un’educazione, impotente ed estraneo a tutto e tutti fino a quando non dovrà trovare il coraggio di affrontare la vita.
Ritenuto una delle pietre miliari della narrativa turca del ‘900, Yusuf di Kuyucak vede il nostro ingenuo e un po’ romantico eroe scontrarsi con l’ingiustizia della vita e la crudeltà delle persone.
Yusuf – in primis animo tormentato, un po’ indifferente alle questioni quotidiane e indeciso su quale strada percorrere nella vita – privo degli strumenti di un’educazione base, si ritrova ben presto in difficoltà a orientarsi in un mondo che non sente proprio e che nulla fa per accoglierlo, nonostante sia comunque una persona corretta e onesta (e anzi forse il problema sta proprio qui…).
La narrazione è decisamente lenta e, sebbene l’ambientazione rurale garantisca una certa fascinazione e curiosità, è stato un po’ complesso – per me – restare coinvolta nella vicenda.
Yusuf poi è un centro della vicenda passivo, la sua ingenuità lo porta a evitare/rimandare le decisioni fino all’inevitabile momento in cui procrastinare non è più possibile.
Alla fine di tutto, il messaggio è forte anche se, a mio parere, non arriva con il giusto coinvolgimento per il lettore: nella società vengono incoraggiati e, anzi, apprezzati gli ipocriti, i disonesti, gli approfittatori e gli insensibili.
Per loro c’è posto; per persone come Yusuf no.
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