L’altra Grace recensione

Titolo: Alias Grace
Autrice: Margaret Atwood
Genere: Romanzo
Anno di pubblicazione: 1996
Titolo in Italia: L’altra Grace
Anno di pubblicazione ITA: 2008 (nuova ed. 2017)
Trad. di: Margherita Giacobino

– Ho ricevuto una copia di questo libro in cambio di un’onesta recensione –

1859. Grace Marks ha trentun anni e si trova nel penitenziario di Kingston, nel Canada occidentale, fin da quando di anni ne aveva solo 18 (e, per un certo periodo, è stata pure internata in un manicomio).

Adesso la sua esistenza passa tra un ricamo e un altro; un dottore e un altro; un secondino e una guardiana.

Questo perché Grace ha sulle spalle una pesante condanna a vita per aver ucciso, assieme a James McDermott, il signor Kinnear, loro datore di lavoro, e Nancy Mongomery, la governante del suddetto signore nonché sua amante.

McDermott, ritenuto colpevole oltre ogni dubbio, è stato condannato a morte per impiccagione ormai anni fa; Grace, invece, facendo forza su di un gruppo di simpatizzanti e un avvocato che ha giocato d’astuzia, ha visto commutare la sua pena in una condanna a vita.

Adesso, però, sembra che la fortuna le offra un’ulteriore opportunità. Il reverendo Verringer vuole inoltrare una nuova petizione per chiedere la scarcerazione della donna e, per rafforzare questo suo proposito, ha chiamato un medico, il dottor Simon Jordan, in modo che questi parli con Grace e ne attesti l’estraneità al turpe duplice omicidio.

Medico e carcerata, però, seguono un gioco diverso e muovono le loro pedine su di una scacchiera fatta di bugie, piccole confessioni e una pericolosa attrazione reciproca.

Avevo conosciuto Margaret Atwood con “L’assassino cieco“, romanzo che le valse un premio e che non potei fare a meno di apprezzare (e consigliare). L’avevo seguita poi con “Il racconto dell’ancella“, adesso diventato serie televisiva targata Netflix e di recente oggetto di una nuova edizione, ma che io purtroppo non ho particolarmente apprezzato.

Con “L’altra Grace” direi che la Atwood torna a essere quella che avevo ammirato con “L’assassino cieco”.

Sullo sfondo di un Canada ottocentesco (molto simile all’Inghilterra vittoriana per mode e costumi), ricostruito con dovizia di particolari e con una precisione per gli usi del tempo degna di un saggio, un terribile omicidio occupa le cronache di tutti i giornali.

Il signor Kinnear viene ritrovato morto nella sua abitazione di Richmond Hill. Per il suo omicidio vengono praticamente subito sospettati i due domestici – spariti dalla casa e fuggiti negli Stati Uniti – Grace Marks, domestica, e James McDermott, stalliere.
Alla cattura dei due, segue anche il ritrovamento, in cantina, del cadavere della governante, Nancy Mongomery.

[Fonte: Murderpedia.org]
Ovviamente il processo che segue è paragonabile ai nostri moderni “processi-mediatici” con svisceramento più o meno fantasioso della vita dei due protagonisti, allusioni di ogni genere e perversione, visite morbosamente curiose nelle celle dove Grace e James sono rinchiusi, ovazione per l’impiccagione di James, ect.

Partendo da questo caso di cronaca vera e dai suoi tantissimi punti oscuri, la Atwood ricama sopra una storia davvero interessante a partire proprio dai suoi personaggi.

Per quanto protagonista indiscussa sia Grace Marks, sulla scena si avvicendano numerosi personaggi ben congegnati, ben strutturati e ognuno con la propria dimensione… sebbene abbiano tutti un puntino in comune: mentire.

Mentire a se stessi, agli altri; mentire per il semplice gusto di farlo, per bontà, per vergogna, per illudersi, per illudere.

Insomma, il gioco che si crea è davvero interessante considerando anche che la storia che Grace propina al medico è solo una storia… una delle tante versioni che, negli anni, si sono succedute (quelle che la stampa ha rifilato ai lettori, ad esempio; oppure quella che si è formata autonomamente nelle menti canadesi; quella – anzi quelle – dei veri “attori” del delitto e ancora quella che forniscono in difesa i loro avvocati).

E, quindi, le domande che si creano sono varie e numerose: Grace era una pazza? Soffriva di doppia personalità? Era innocente? Oppure era solo una donna fredda e calcolatrice? E questa sua indifferenza era forse determinata dal tempo, dai modi e dai limiti in cui le donne venivano costrette?  O forse è solo un altro esempio di umana sofferenza, umana follia?
In definitiva, chi potrebbe dire dove arriverebbe se messo alle strette

Quella della Atwood, in verità, è una non-soluzione, ma è la conclusione degna di un romanzo ben realizzato che offre anche spunti storici, sociali e umani.


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