Sleeping Beauties recensione

Titolo: Sleeping Beauties
Autori: Stephen e Owen King
Genere: Paranormal
Anno di pubblicazione: 2017
Titolo in Italia: Sleeping Beauties
Anno di pubblicazione ITA: 2017
Trad. di: Giovanni Arduino

Dooling, una cittadina priva ormai dei suoi antichi fasti minerari incastonata negli Appalachi.

Tutto tranquillo a Dooling; nulla di strano.

C’è Lila Norcross, la sceriffa; c’è suo marito Clint, psichiatra, che lavora nel penitenziario femminile della città.

E poi c’è, anzi arriva Evie. Fa la sua comparsa nel fitto del bosco, mentre al penitenziario una detenuta – colta da un’improvvisa e irreversibile sonnolenza – profetizza l’arrivo della Regina Nera.

Ed è da questo momento che le cose cominciano a precipitare; non solo a Dooling, ma in tutto il mondo.

Le donne – tutte le donne di qualunque età – cadono vittima di uno strano sortilegio che non solo impedisce loro di risvegliarsi in stile Aurora (La Bella Addormentata), ma le riveste di uno strano bozzolo che se rotto o danneggiato – anche non volutamente – le trasforma in delle specie di zombie assassine.

Le cause di questo male sono e restano sconosciute mentre una donna dietro l’altra cade addormentata. L’unica a sembrare immune a questa piaga? Evie.

Di questa partnership padre-figlio hanno parlato un po’ tutti come dell’evento dell’anno. Effettivamente anche io ero molto curiosa di vedere il risultato di questo lavoro a quattro mani: da una parte il re dell’horror/paranormale; dall’altra suo figlio che, a quanto pare, se la cavicchia abbastanza bene (già autore di un paio di romanzi – We’re All in This Together: A Novella and Stories Double Feature –  e di una graphic novel – Intro to Alien Invasion).

Sleeping Beauties parte da un assunto molto semplice: cosa accadrebbe in un mondo senza donne (o in un mondo con sole donne)? Implodono entrambi? Uno funziona e l’altro no? Quale dei due? E perché?

Le risposte fornite sono ben poche, ma come metafora/messaggio tra la donna di nome Evie che spunta nuda da un bosco, un serpente che si attorciglia lungo un enorme albero, ect. ci si potrebbe ragionare sopra per giorni (forse… alla fine, questa tematica sovrannaturale è abbastanza presente nei lavoro di Stephen King).

Come ormai King (padre) ci ha abituato, la narrazione segue diversi personaggi e diversi eventi apparentemente scollegati l’un con l’altro o insignificanti.
In verità poi, il più piccolo particolare, gettato a caso nell’azione senza particolare attenzione, si rivela essere un indizio del terrore in agguato.

Ricorrono anche altri elementi tipici della narrazione di Stephen King: la cittadina misconosciuta americana, il grande e inspiegabile male che di botto si abbatte sulla città, il gruppo di animali parlanti/mitologici/biblici/ect., quella manciata di gente che sente di fare la cosa giusta (poi non è detto che sia giusta a prescindere), il resto della gente che invece impazzisce o sclera.

Ma ci sono anche gli aspetti “negativi” della narrazione di King-padre: la cittadina misconosciuta americana, il grande male che di botto si abbatte sulla città… insomma, tutto già visto.

Non dico che il romanzo non sia interessante (anche se poi porta a ben poche conclusioni) o che non si legga agilmente (nonostante l’esoso numero di pagine – 720): semplicemente è un altro romanzo alla Stephen King con tutti i soliti elementi e schemi narrativi (… e Owen dov’è?).

C’è pure il solito problema della lunghezza: sarebbero bastate 200 o 300 pagine meno per realizzare un romanzo altrettanto interessante e sicuramente più scorrevole. Anche perché verso la fine prende un po’ per sfinimento… (con una baraonda di scadenti americanate quali: bazooka, esplosivi e assalti…).

In conclusione, un romanzo interessante che, tuttavia, si inserisce nella già nota linea narrativa tipica di King.


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