Il giorno in cui Gabriel scoprì di chiamarsi Miguel Angel recensione

Il giorno in cui Gabriel scoprì di chiamarsi Miguel Angel recensioneTitolo: Il giorno in cui Gabriel scoprì di chiamarsi Miguel Angel
Autore: Massimo Carlotto
Genere: Romanzo di formazione
Anno di pubblicazione: 2001

– Ho ricevuto una copia di questo libro dalla casa editrice in cambio di un’onesta recensione –

Gabriel è in ritardo quando entra in classe. Però, quel giorno c’è qualcosa che non torna: i compagni lo fissano tutti in modo strano. Il ragazzino esige una spiegazione, ma quella che gli arriva è come una doccia a ciel sereno: tuo padre è un assassino, un torturatore… è responsabile della fine di centinaia di persone.

Non è possibile.

Gabriel stenta a credere anche a quanto rivela un sito internet indicatogli da un compagno di classe. La foto sorridente del padre in uniforme e la didascalia che lo descrive come colpevole di torturare per strappare informazioni e rapire bambini nati in un campo di prigionia. Insomma, Gabriel non ci crede e decidere di metter fine a questa storia personalmente.

È così che farà il suo primo incontro con le abuelas e la loro associazione. Scoprirà per cosa si battano queste anziane donne e le speranza che esse cercano di riparare. E scoprirà anche di essere un altro.

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I temi importanti sono tanti e tutti potrebbero concorrere a presentare un quadro approfondito di ciò che ha comportato il lavoro di queste abuelas e della loro associazione, il dramma dei desaparecidos. E non solo: l’identità personale e l’importanza di un nome con il quale potersi identificare; il concetto di famiglia; le indicibili violenze di cui, purtroppo, il genere umano ha dato tristemente prova di essere capace; lo scontro tra posizioni inconciliabili; il crollo di ogni certezza; la necessità di affrontare una verità scomoda e difficile sono tutti argomenti “pesanti”.

Tuttavia, questi saltano fuori con un po’ troppa semplicità e troppo rapidamente. Non c’è tempo per rendersi conto del significato fondamentale che quella breve informazione comporta, perché si è già passati oltre. Si viene catapultati negli eventi e pochissime righe dopo ne siamo già fuori; un po’ storditi dal non essere stati accompagnati in questo passaggio.

Alcuni punti della vicenda sono un poco coerenti, come la zia Rosa che suggerisce al ragazzo un cambio di quartiere e, di conseguenza, di scuola dove nessuno lo conosce quando Gabriel è stato oggetto di molta attenzione mediatica e tutti ne hanno visto la foto personale e della famiglia riunita; o il modo con cui il ragazzo viene convinto dalle abuelas a sottoporsi al test del DNA.

Il modo in cui Gabriel viene messo a conoscenza della sua nuova identità è molto duro; non so come funzionino le cose in Argentina, quindi felice di essere smentita, ma generalmente, a prescindere dall’ufficio che si ricopre e dall’importanza del proprio compito, gli adulti, soprattutto se donne, cercano sempre un atteggiamento dolce e comprensivo verso i più piccoli, in particolar modo se stanno per sconvolgergli i diciassette anni precedenti di vita.

Il rapporto tra la nonna (biologica, ma estranea) e la zia (della famiglia “adottiva”) del ragazzo arriva proprio alla fine del libro è sarebbe stato, invece, un altro approfondimento importante lo scoprire come queste due donne, in un certo qual modo entrambe vittime di scelte altrui, scelgono di venire a patti tra loro per il bene del nipote.

Se gli aspetti citati, comunque, non sono poi così fondamentali ai fini della storia di crescita del protagonista, lo stesso non si può dire circa il suo cambiamento. Troppa, infatti, è la facilità con cui il ragazzo crede a una parte piuttosto che ad un’altra; c’è da considerare, infatti, che nessuno, per convincere definitivamente Gabriel, gli mette di fronte prove documentali (video o foto dal significato incontrovertibile che suo padre – “adottivo” – era effettivamente presente al momento delle torture). Si tratta di verità raccontate; le stesse, anche se invertite, con le quali i genitori adottivi gli hanno rincitrullito il cervello per diciassette anni.

Ho saltato le voci ambienti e personaggi, perché la descrizione di questi non sono quasi contemplati e sono aspetti che passano molto in sordina. In parte, è una scelta comprensibile dal momento che questo libriccino ha l’aspetto più di un racconto che di un romanzo, quindi l’attenzione deve essere tutta concentrata sull’azione che si sta svolgendo e non perdersi sull’aspetto delle finestre di un edificio o sui capelli biondi/verdi/marroni/gialli di un determinato personaggio.

Insomma, personalmente è una lettura che avrei apprezzato moltissimo se ci fossero stati un maggior approfondimento della vicenda tramite passaggi più lenti e mirati, una cura nella rappresentazione degli stati d’animo dei vari personaggi e un’attenzione costante sui temi che avvolgono l’intera vicenda.

Tuttavia, è una lettura che mi sento di consigliare a un pubblico molto giovane (attorno ai dieci anni). Da questo punto di vista, infatti, è il romanzo perfetto per stimolare domande da parte del bambino (cui, però, il genitore deve essere pronto a rispondere).

Il giorno in cui Gabriel scoprì di chiamarsi Miguel Angel valutazione


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