Stoner recensione

Titolo: Stoner
Autore: John Williams
Genere: Romanzo
Anno di pubblicazione: 1965
Titolo in Italia: Stoner
Anno di pubblicazione ITA: 2012
Trad. di: Stefano Tummolini

William Stoner nasce in un’anonima fattoria.
Tutte le mattine si alza e aiuta il padre con il lavoro nei campi. Poi modernità e nuove conoscenze fanno il loro ingresso in questo comunissimo angolo di terra e il padre, dopo aver sentito parlare di “università”, chiede a Stoner di iscriversi, seguire il corso di agraria e di tornare alla fattoria con le nuove conoscenze acquisite.

E Stoner, seppur non molto convito, lo fa: si iscrivere all’università del Missouri, segue i corsi, svolge i compiti e gli esami più per diligenza che non per reale convinzione.

Ecco, però, che un giorno una fulminazione lo coglie durante il corso – obbligatorio anche per gli studenti della facoltà di agraria – di letteratura inglese mentre e in atto lo studio del sonetto 73 di Shakespeare.

E con questo praticamente unico gesto di “ribellione”, Stoner molla agraria e si butta a capo fitto nello studio della letteratura per diventare in seguito ricercatore e poi professore sempre nella stessa università.

All’orizzonte lo aspettano due guerre mondiali e la crisi economica più nera nella storia degli Stati Uniti.

Quando fece la sua prima comparsa nel 1965, Stoner non venne particolarmente apprezzato: vendette “solo” 2.000 copie (per la verità, un grande traguardo nell’attuale mercato editoriale italiano) e nel giro di un anno dalla sua pubblicazione era già fuori catalogo.

Poi il recupero nel 2003 e nel 2006 e il tam-tam social iniziato grazie all’attenzione di alcuni scrittori famosi lo hanno promosso a successo da un milione di copie… in Europa. Infatti, nella terra natia “Stoner” resta un mistero per gli editori statunitensi che ammettono la sconfitta sul fronte vendite [Fonte: IlPost].

Veniamo a noi.

Stoner: un uomo mediocre potremo assumere come sottotitolo, ma in verità più normale di quanto si potrebbe immaginare.

Il mondo letterario ci ha abituati a cavalier serventi; eroi ed eroine; gente dotata di grandi menti, grandi doti; eccellente in qualcosa, eccezionale in altre. Le loro storie trasudano emozioni, avventure, eventi inattesi e fortune insperate.

Ma qui non c’è nulla di tutto questo. Non ci sono draghi da sconfiggere o grandi gesta da compiere; non ci sono strade poco battute da esplorare o mondo sconosciuti da scoprire. Qui c’è solo Stoner e la sua mediocre vita, in verità… la sua vita normale orbitante attorno al polo universitario.

Poco, in verità nulla, nella vita di Stoner grida all’eroico, all’epico. Il nostro è un uomo tranquillo, pacifico, remissivo, passivo e dotato di un’enorme pazienza. Animo romantico (o filosofico, se preferisci) sicuramente; ma talvolta privo di quel quid in più che lo spinga verso una strada non tracciata, verso una scelta più complessa, verso una decisione che implica un certo sforzo.

Vive la sua vita, sotto certi aspetti, come se non ne fosse del tutto padrone o come se, in fondo al percorso, si nascondesse un bonus per ricominciare tutto daccapo.
Ma scegliere la strada più facile non sempre vuol dire seguire la strada migliore. E così, romantico quanto cieco, Stoner deciderà di sposare Edith Bostwick, donna vuota e anonima  “coltivata” dai genitori solo per essere una buona moglie. Incrocerà una grande quanto fastidiosa nemesi, subirà perdite, vedrà la vita dell’amata figlia scivolargli via delle mani, ma reagirà sempre con un certo distacco… come se la cosa quasi non lo riguardasse o non fosse suo il potere di raddrizzare il mal subito.

E, tuttavia, Stoner è anche capace di compiere un paio di scelte forti come il cambio facoltà (mandando a monte le speranze dei genitori e imponendo un drastico cambiando alla sua quotidianità) oppure il non arruolamento come volontario per la guerra (nonostante i suoi unici due amici decidano diversamente). Insomma, i processi mentali che guidano Stoner restano sempre un mistero per il lettore, ma in un certo qual modo – ed eccettuati i due esempi di poco sopra – sembra che la sua preferenza vada per la scelta più semplice, meno problematica.

Estraneo a quei suoi stessi genitori che in lui riponevano grandi speranze, convinto che l’infatuazione per la moglie sia amore, incapace di difendere i suoi spazi, Stoner “perde” tempo… tempo che indietro non tornerà più, ma che lui non cerca nemmeno di far tornare.

Accanto al nostro remissivo protagonista, si avvicendano altri quattro o cinque personaggi anche loro normali, comuni. Nessuno di loro fa nulla di speciale; nessuno di loro ha particolare incidenza. Vivono la loro vita, anzi sopportano la loro vita perché è quello che devono fare: non c’è poesia nella vita vera. Non ci sono fate madrine a risollevare la triste situazione né occasioni speciali con cui guadagnarsi l’immortalità.

E così anche Stoner e i suoi comprimari accettano semplicemente l’ineluttabile: la vita è «lunga disgrazia destinata a finire».

Personaggi comuni, quindi? Certo, sicuramente.
Quante altre Edith ci saranno state – e ci saranno magari con competenze aggiornate – in America, Inghilterra, Italia, Francia brave a ricamare, brave a suonare uno strumento e a dipingere con gli acquarelli… brave insomma a essere un grazioso completo d’arredo?
E quanti altri vanesi Horace Bostwick che guardano al soffitto per non incrociare lo sguardo del loro interlocutore infesteranno il mondo?
E di quanti boriosi colleghi come Lomax saranno piene le università?

Attraversato da un profondo pessissimo, in “Stoner” non ci sono moniti né considerazioni che indichino al lettore il giusto percorso da compiere nella vita. Nessuno accusa Stoner di lassismo o inutilità, perché in fondo la vita di Stoner è la vita anonima e più semplice che molti scelgono.

E questo è un aspetto che ammiro, ma dall’altro lato avverto appunto qualcosa di stonato che mi ha impedito di innamorarmi del romanzo.

Da un lato, apprezzo la valorizzazione quasi romantica che John Williams è riuscito a fare dell’uomo comune e della sua storia normale con la capacità di rendere “interessante” anche la linearità di Stoner riuscendo a dedicargli un libro intero.

Lo stile narrativo semplice e lineare (mi scuso per la ripetizione, ma non riesco a trovare un sinonimo adeguato) rispecchia bene questa immagine di pacatezza e tranquillità.

Tuttavia, dall’altro lato, è un romanzo che non credo d’aver compreso fino in fondo e che ancora faccio qualche fatica a inquadrare: dei personaggi continua a sfuggirmi qualcosa nelle loro decisioni, della storia troppo comune mi sfugge il significato e, soprattutto, l’emozione.


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