Con il pretesto dell’avventura e della cerca di un tesoro dimenticato su delle magnifiche isole gemelle nel Mar dei Caraibi, il libro tocca temi importanti e complessi, affrontandoli in un’analisi articolata e densa di riferimenti alchemici, esistenziali e filosofici.
Questa è la mia chiacchierata con l’autore.
Scrivere basandosi su di un progetto consolidato da seguire oppure partire da un’idea e vedere, in corso d’opera, come si sviluppa. Lei che tipo di scrittore è? Cosa preferisce tra queste due alterative o se preferisce entrambe?
Dunque, non scrivo sequenzialmente, scrivo di qua e di là e poi “unisco i puntini con delle righette”. Questo libro si presta particolarmente a questo modo di scrivere, perché è molto frazionato. Altri libri, molto più lineari all’apparenza, in realtà sono ugualmente scritti in quel modo: un paragrafo qui un paragrafo là appunto per non sedare l’ispirazione e anche per non costringersi a scrivere.
Nel caso di questo libro, poi, gli spunti erano tanti… tutte mie passione e io mi sono divertito a passare da una all’altra, passando tra i due background molto diversi dei due protagonisti per poi farli trovare, così diversi l’uno dall’altra.
Quindi, quanto c’è di lei in questo libro? Quanto ha inciso – se ha inciso – la sua esperienza personale?
Di me personalmente direi poco, perché non mi rivedo in nessuno dei due protagonisti. Però, come rappresentanti di certi tipi di pensare, di vivere e di modi agire sì.
Marisol, all’inizio almeno, rappresenta proprio una personalità pura, addirittura quasi patologica. Quando va a Cuba è un’esperienza che ho vissuto molto da vicino perché ho vissuto in contatto con l’esodo cubano a Miami per tanti anni, quindi il dramma della diaspora l’ho vissuto molto da vicino.
La questione del cacciatore di tesori poi mi ha molto interessato sin da bambino (ovviamente con Robert Loius Stevenson).Soprattutto sia in lei sia in lui la motivazione che li spinge non è nessuna della triade di oggi (soldi, sesso e potere). Nella maggior parte dei libri o dei film che vediamo i protagonisti sono, infatti, motivati da quelle tre cose; in questo caso, no. Lei è alla ricerca di cose diverse che non trova e lui è alla ricerca di questo tesoro che non trova. Poi assieme trovano qualcos’altro…
Infatti, i due personaggi che sono “solo” due ma rappresentano, uno per un motivo l’altra per un altro, due dualità di modi di pensare completamente diversi, ma comunque unibili.
Una volta tornati alla realtà, però, tutto questo in un certo qual modo sparisce…
Sì, perché escono da quel varco spazio-temporale. Rimangono comunque affezionati l’uno all’altra, ma hanno vite differenti.
Penso che lei cambi moltissimo nel corso della narrazione; lui anche, ma in modo diverso. Diciamo, infatti, che Christopher era un uomo abituato un po’ a vivere alla giornata. Mentre lei era molto cerebrale, molto costruita e, quindi, più avulsa dalla vita rispetto a lui.
Sono complementari. Sono proprio un po’ sottovento e un po’ sopravvento, animus e anima, cioè la congiunzione degli opposti che avviene in maniera alchimica su quell’isoletta. Poi, invece, capiscono di non aver mai capito niente.
Una volta arrivati a quel punto tutto quello che lei pensava prima, tutte le sue nozioni imparate anche con fatica (alcune delle quali molto astratte) vengono accantonate. E anche quello che lui pensava – che era molto meno – e credeva viene accantonato.
Anche il tesoro enorme, che trovano in quelle isole, è un tesoro che non interessa più.
Per entrambi i protagonisti, il naufragio è come se fosse una sorta di epifania, perché bene o male entrambi scoprono una parte di loro stessi. Se lei dovesse consigliare al lettore come imparare ad accettare se stessi senza necessariamente ricorre a un naufragio, quale consiglio si sentirebbe di dare?
Non saprei, perché più l’accezione di se stessi (che sarebbe più il “Candid” di Voltaire), questa è una trascendenza di se stessi cioè accettare i propri limiti ma anche cercare di travalicarli.
L’importante è cercare in tutti i sensi. Poi la ricerca può diventare anche un’iniziazione. E assolutamente non restare fermi.
… dopo l’epifania ci si può anche fermare, perché la trasformazione è avvenuta!
La difficoltà è riuscire, però, in questa epifania…
Eh, sì, non è facile. È un invito. Questo, secondo me, è un libro che dà speranza.
La sensazione che ho avuto, leggendo il libro, è stata quella di mettere davanti al lettore il fatto che si può sì sperare, ma bisogna anche cercare di “cavarsi un po’ le gambe” da soli, cercare insomma di agire in base a quelle che sono, usando la metafora del mare, tutte le varie tempeste che possono presentarsi durante il corso della vita.
Per questo il ritorno alla realtà che hanno i due protagonisti è un po’ come se fosse il mare dopo la tempesta…
Sì, è proprio così. In termini psicoanalitici, è il principio di individuazione quello che lei descrive.
L’importante è continuare a cercare; poi magari si cerca anche la cosa sbagliata, però non si può sapere all’inizio. In fondo, poi, a fine percorso si potrebbe trovare qualcosa di ancora più importante. Se non ci cerca, però, non si arriva da nessuna parte.
Il libro “Sottovento e sopravvento” di Guido Mina di Sospiro sarà disponibile dal 25 maggio 2017. E ancora grazie all’autore per il suo tempo!
Qui puoi leggere la mia recensione del libro.
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