La banalità del male recensione

recensione la banalità del maleTitolo originale: Eichmann in Jerusalem: A Report on the Banality of Evil
Anno di pubblicazione: 1963
Autrice: Hannah Arendt
Genere: Saggio
Titolo in Italia: La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme
Anno di pubblicazione ITA: 1964

«Goebbles aveva dichiarato nel 1943: “Passeremo alla storia come i più grandi statisti di tutti i tempi, o come i più grandi criminali”»
Hannah Arendt, La banalità del male,
Saggi universale economica Feltrinelli,
undicesima ed.,  2006

Apro con questa citazione e con queste conseguenti considerazioni (che poi la stessa Arendt fa nel corso della trattazione con più proprietà di linguaggio e chiarezza di quella che userò io):

  • la prima è che ringrazio il cielo che i gerarchi nazisti (ma i nazisti, in generale) siano passati alla storia come dei folli criminali. L’ipotesi contraria ci avrebbe visto tutti alzare il braccio al cielo come fantocci e guardare ad Hitler come ad un dio… rabbrividisco al solo pensiero.
    È anche ovvio che, se le cose fossero andate diversamente, loro non sarebbero stati bollati come criminali (come, invece, giustamente è oggi), ma come eroi del regime e questa considerazione mi lascia senza ulteriori parole, ma grata che non sia finita così;
  • la seconda considerazione è che, nell’affermazione di Goebbles, un’ipotesi non esclude l’altra. Nel senso che i nazisti erano (e sono) criminali, ma criminali terribilmente organizzati. La loro precisione e puntualità quasi maniacale è stato il successo (e la catastrofe per milioni di persone) della loro operazione più allucinante: la «soluzione finale».

Posta questa piccola premessa (anzi, scusate il mio divagare), parliamo del libro.

Si tratta di un reportage, che è, a sua volta, la risultante di una serie di articoli di giornale (poi rimaneggiati nella nuova veste di libro) che la Arendt scrisse in qualità di corrispondente del New Yorker a Gerusalemme durante il processo che si svolse contro Eichmann.

Chi era costui?

Adolf Eichmann (vado dritta al punto che ci interessa) fu colui che, dapprima, si occupò dell’espulsione degli ebrei dal territorio tedesco e, a seguito dell’attivazione della «soluzione finale», si occupò di organizzare e gestire la deportazione di migliaia e migliaia di persone verso i vari campi di concentramento. Lui stesso fu a capo di uno dei essi, Theresienstadt.

Per la verità, si trattava di un campo sui generis, che serviva essenzialmente come centro di “smistamento”. Questo fu l’unico campo in cui fu mai consentito l’accesso agli operatori della Croce Rossa Internazionale (si trattava esclusivamente di una mossa propagandistica per sfatare le “voci” di sterminio che andavano diffondendosi; tanto che, all’interno del campo, vennero costruiti per l’occasione finti negozi e locali per dimostrare come non ci fosse proprio nulla da temere).

Il libro segue le vicende del processo a suo carico, iniziato negli anni’60 nel giovanissimo stato di Israele (a seguito di un rapimento illegittimo, secondo le norme internazionali, avvenuto in Argentina pochi mesi prima). Attraverso documenti, date, testimonianze ed eventi ricostruiti della storia personale e della carriera di Eichmann seguiamo l’evoluzione (anzi, pardon, involuzione) del regime nazista fino alla nota conclusione.

L’occasione era molto importante anche perché in quegli anni proseguivano i processi ai nazisti in Germania con alterne fortune (nel senso che non sempre si è stati capaci di attribuire pene adeguate) ed era questo, come ho scritto, il primo processo a svolgersi nel nuovo Stato di Israele. Tuttavia, dal reportage emerge come non si sia fatto abbastanza, come molti aspetti del processo siano stati un po’ raffazzonati insieme, come alla fin fine si sia creato quasi uno show.

Non che nessuno avanzi dei dubbi sulla colpevolezza di Eichmann. Quella c’era ed era lampante tanto che, forse, del processo nemmeno ce ne sarebbe stato bisogno.

La lettura non è per niente semplice sia per gli argomenti trattati sia per le smisurate conoscenze dalla Arendt sulla questione. Talvolta, si è un po’ sommersi dalle informazioni, dai nomi, dagli eventi.

Posso assicurare, però, che le tantissime considerazioni nella quali si getta l’autrice sono davvero degne e stimolano nel profondo al pensiero critico e ragionato.

Ma è una lettura “obbligata” che va fatta.

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