Il ghostwriter recensione

the-ghostwriter-recensione-the-books-blenderTitolo: The Ghost
Autore: Robert Harris
Genere: Romanzo
Anno di pubblicazione: 2007
Titolo in Italia: Il ghostwriter
Anno di pubblicazione ITA: 2007
Trad. di: Renato Pera

Quale miglior modo per ottenere un posto di lavoro davvero ben remunerato se non  grazie alla morte del tuo predecessore? È proprio quello che avviene al protagonista (che, non avendo un nome, d’ora in avanti sarà solo P.). P. è un ghostwriter, e cioè scrive libri per altri (ne abbiamo parlato diffusamente qui).

Insomma, si tratta in questo caso di scrivere le memorie di Adam Lang, volto noto notissimo: è l’ex Primo Ministro inglese.

Il lavoro, come dicevo molto molto ben remunerato, è in buona parte già fatto dal predecessore di P., un tal McAra, il quale tuttavia è scomparso in strane circostanze (scomparso nel senso che è stato ritrovato morto). Insomma, cosa che capitano… no? Anche perché pare che McAra possa essersi suicidato… magari aveva dei problemi personali. Oppure è semplicemente scivolato dal battello sul quale si trovava al momento della sua scomparsa.

Tuttavia, appena accettato il “caso”, qualcosa già non torna. E, appena tornato dal meeting durante il quale gli è stato ufficialmente passato lo scettro di uomo-fantasma di Lang, due uomini assalgono P. sulla porta di casa. Non prendono portafogli, non cercano di entrargli nell’abitazione. Nulla. L’unica cosa che rubano è una grande busta gialla contenente un manoscritto di un anonimo e molto noioso politico (plico che il nostro aveva ricevuto per elargire gratuiti consigli). Insomma, che quegli uomini si siano sbagliati credendo d’avergli sottratto le memorie di Lang? E perché mai dei loschi figuri lo dovrebbero aggredire per rubargli il resoconto romanzato della vita di un politico? E se… McAra non si fosse ucciso, se non fosse scivolato giù dal battello?
No, no. Forse P. è solo paranoico. Lo scrivere tanti libri per tante persone diverse lo avrà sicuramente reso troppo fantasioso… oppure no?

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Seguiamo P. nell’isoletta sperduta – solo d’inverno, perché d’estate è presa d’assalto da circa centomila turisti – di Martha’s Vineyard mentre la situazione diventa sempre più ambigua a ogni passo: un tassista sordo come primo interlocutore, una guardia di sicurezza che lo accoglie «in questa gabbia di matti», l’attraente assistente di Lang dal sorriso tirato e la moglie di Lang piccola e avida di gloria e successo. Fino ad arrivare all’apoteosi: infilare il nostro ghostwriter nella stanza del suo precedessore morto.

Insomma, è evidente che «qui, gatta ci cova».

Da un lato, quindi, mi sbilancerei nel dire che la storia, almeno nella sua parte iniziale, è abbastanza ben orchestrata e intrecciata –  anche se, talvolta, gli eventi suonano un po’ troppo da gggomblotto mondiale. Comincia bene cercando di giostrare una narrazione costruita per aumentare la curiosità del lettore gradualmente; tuttavia, dall’altro lato, non posso non notare un certo inghippo nel carburatore. Si assistente di botto a un calo nella tensione narrativa e, contestualmente, allo sperticarsi nel tentativo di sorprendere il lettore per portarlo al “colpo di scena” – non poi tanto colpo di scena – conclusivo.

Non sono tanto i momenti di tensione a mancare, quanto l’assurdità verso la quale cala la trama. Almeno dal mio punto di vista. Terrorismo, CIA, reclutati CIA, agenti CIA infiltrarti in ogni maglia del governo, associazioni inglesi filoamericane e associazioni americane filoinglesi che, in realtà, sono tutte una copertura per la CIA… aspetta, ho già scritto CIA?

Non è tanto la questione CIA a sconvolgermi quanto il modo e la gravità con cui il nostro P. ci rimane coinvolto (non posso dire suo malgrado, perché certo non si può ammettere che non sia stato avvisato).

Alla fine, una scia di morti per cosa?!

Riposta, ma attenzione: ALLERTA SPOILER

Capire – come se non si fosse già capito all’inizio che il polo attivo della coppia è lei – che Ruth Lang, la moglie di Lang, è in contatto con la CIA e per questa lavora da anni.
Quindi, una volta che si presenta il sospetto – perché di prove concrete non c’è nulla, ma solo una serie di ipotesi -, la soluzione è quella di eliminare tutti. Compreso il ghostwriter che nessuno si fila e a cui nessuno ha dato credito nemmeno alla pubblicazione del suo stesso libro; figuriamoci chi gli avrebbe creduto quando (e se) avesse un domani paventato alleanze sospette tra la CIA e la vedova distrutta dell’eroe Lang.

Ovviamente, poi, uccidono P. e tutti gli altri coinvolti, ma… consentono l’uscita del libro di P.?? Finzione vuole, infatti, che noi lettori stiamo leggendo le memorie di P., da pubblicarsi solo dopo che P. avrebbe fatto una fine rapida e poco chiara.

Ah, e una piccola postilla su come viene eliminato Lang e risolta in tre righe una questione che va avanti da tipo duecento pagina: … eh? (nel senso che, davvero non c’era altro modo? La soluzione per tutte le trame che si ingarbugliano troppo è sempre lo scemo terrorista che si fa esplodere e che – ehi, guarda caso la fortuna – colpisce solo ed esclusivamente il suo obiettivo risparmiando miracolosamente tutto l’entourage?!

Insomma, questi elementi narrativi mi lasciano un poco perplessa e, complessivamente, dal mio punto di vista, la trama presenta alcuni buchi di coerenza («prova dell’idrovolante»1^ non superata del tutto, direi…).

Ottime comunque le descrizioni che, grazie all’uso di metafore con accostamenti azzardati (come «due comignoli quadrati in mattoni simili a quelli dei forni crematori»), aiutano davvero il lettore a entrare in un clima di sospetto, tensione e doppi-giochi. Un po’ meno la questione “attentati post 11 settembre” che, in definitiva, non tange più di tanto P., il quale cita la situazione di pericolo solo perché lui si trova costretto a cambiare strade per rientrare a casa o a farsi palpeggiare le parti intime per un’ispezione. Insomma, è citata quasi fosse di dovere un richiamo, ma non gioca un ruolo così importante nello svolgimento della storia.

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Nell’ottica di “ci sono, ma non ci sono” è molto ben realizzato il protagonista. Si vive la storia dal suo punto di vista, ne condividiamo le tribolazioni e le scoperte e, tutto sommato, non arriviamo mai ad afferrarne l’essenza. Il protagonista non ha un nome, perché il nome qui non è importante. Lui è il fantasma e tale deve essere anche per il lettore che lo vede, lo sente raccontare la storia, ma non è in grado di definirlo in alcun modo.

Degli altri personaggi, tuttavia, abbiamo una fugace visuale: la segretaria personale Amelia Bly – indovina un po’ il suo rapporto con Lang… -, Ruth, la moglie di Lang – fedele, a quanto pare, ma fino a che punto -, e Adam Lang stesso – ambiguo come personaggio, ma palesemente non molto conscio di quanto gli accade intorno.

Gli altri sono giusto dei nomi. Forniscono informazioni, “sentito dire”, protezione, ma poco altro.

In conclusione, non è una lettura malvagia, ma nemmeno nulla di così eccezionale. Si legge bene, scorrevole, ma la narrazione talvolta sbarella. Un libro per far compagnia in momenti in cui non si cerca qualcosa di impegnativo o particolarmente coinvolgente.

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1^ «Siano romanzi o opere di memorialista, questi libri bruttissimi hanno una cosa in comune: suonano falsi. Con questo non voglio dire che un buon libro debba necessariamente avere il crisma della veridicità, ma mentre viene letto deve dare quest’impressione. Un mio amico che lavora nell’editoria ha coniato a questo proposito l’espressione “Prova dell’idrovolante”, dopo aver visto un film sulla gente della City londinese che si apriva con la scena del protagonista che va al lavoro a bordo di un idrovolante che si posa sul Tamigi. Da quel punto in poi, mi disse, non era più il caso di guardare il film.» estratto da “Il Ghostwriter”, Robert Harris, Mondadori, 2013, trad. di Renato Pera.

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