Sillabario dei malintesi recensione

Titolo: Sillabario dei malintesi
Autore: Francesco Merlo
Genere: Saggio
Anno di pubblicazione: 2017

– Ho ricevuto una copia di questo libro in cambio di un’onesta recensione –

Sillabario è un termine che per le nuove generazioni, quelle native-digitali, ha perso praticamente significato e per gli altri rievoca ricordi romantici da romanzo o dolorosi da vergate sulle mani.

In ogni caso, si tratta(va) di un modo di conoscere e apprendere diverso legato, in primis, al valore delle parole.

Ed è proprio qui che Merlo ci vuol condurre: il significato di una parola non è fisso – non sempre almeno – e si offre a interpretazioni diverse (difficile da credere, eh? eppure su certe parole non si può non essere d’accodo con l’autore).

Ecco, quindi, che Merlo ci apre il suo di sillabario fatto di ricordi personali, espressioni e impressioni, fatti storici e riferimenti contemporanei.

Impressionante, sotto questo punto di vista, è la disinvoltura e la naturalezza con cui Merlo riesce a passare dalla letteratura alla politica, dalla storia alla filmografia; dai ricordi al fattore allogeno nella storia italiana.

Tramite associazioni di vario tipo (linguistiche, storiche, personali, ect.) si passa di argomento in argomento che è una meraviglia con un linguaggio diretto, ma poetico.

Insomma, il discorso fila splendidamente nonostante gli argomenti non possano essere più differenti tra doppiezza dei significati, accezioni letterarie e storiche.

L’inizio del sillabario coincide con l’inizio dell’Italia che, alle elezioni del 1946, prese la prima grandissima decisione: monarchia o repubblica? Eccoci davanti al primo esempio di doppiezza linguistica.

Come sappiamo vinse la repubblica, ma si trattò di uno scontro anche sulle sensazioni che la parola “monarchia” trasmetteva: da una parte, il termine richiamava l’eleganza delle Corti europee, le danze nei palazzi affollati di principi e principesse (non a caso fu concesso il voto alle donne); dall’altra “monarchia” implicava però anche oppressione, piaggeria, snobismo e – talvolta – ridicolo.

Da qui, dunque, Merlo ci conduce in un’Italia fatta di complotti, doppiezze, millanterie; naziscemi e squadre di calcio; sottocultura e populismo; democrazia frastornata e pasticcioni; imbrogli e brogli; necroromanticismo.

In un’Italia fatta di tanti – tantissimi – Cetto La Qualunque (il noto personaggio di Antonio Albanese); di figuri che tornano solo perché i ricordi dell’italiano spesso fanno cilecca; di criminali che diventano famosi scrivendo le loro versioni; del linguaggio volutamente storto di Checco Zalone.

Null’altro, quindi, che l’Italia della cretinocrazia (ammiro davvero certe scelte linguistiche di Merlo; questa è solo una delle tante), delle solite contraddizioni, delle titubanze, dei rinvii e ritardi, degli episodi-barzelletta che, ahimè, non potrebbero essere più veri nell’italica novella.

Insomma, solita situazione nota a tutti, ma di cui alcuni ancora si sperticano per negarne l’esistenza.

Ne emerge il quadro – che amaramente condivido – di un’Italia disfatta; di un popolo seduto sulle proprie convinzioni, indifferente alla verifica, al vero; di un’Italia che si è abbassata, chinandosi in un bieco populismo e adagiandosi di un odioso “polically correct“.

Tutto è contestabile in Italia; persino la precisione dei numeri.


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