L’amica geniale recensione

lamica-geniale-recensione-tbbTitolo: L’amica geniale
Autrice: Elena Ferrante
Genere: Romanzo
Anno di pubblicazione: 2011

Raffaella, alias Lina (alias Lila, ma solo per la narratrice Elena), sessantasei anni, è scomparsa. Solo dopo due settimane, il prodigo e molto preoccupato figlio Rino si è messo alla sua ricerca: che vuoi, lei faceva così, sempre dentro e fuori; spariva per dei giorni.
Avviate le ricerche e chiamata la polizia, ancora nessuna traccia di Raffaella/Lina/Lila. Elena, l’amica d’infanzia, però, qualcosa immagina e fa cercare a Rino “tracce” (vestiti e scarpe per cominciare) in casa della madre. E la scoperta che fa è sbalorditiva: nulla. Non resta più nulla di Raffaella: nè vestiti nè foto nè certificati nè computer. Nulla. Raffaella si è dissolta.
Ma Elena non può lasciarla andare e così decide che, in questa battaglia non l’avrà vinta l’amica: non sparirà, perché Elena ne condenserà il ricordo nelle sue pagine.

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Ormai, lo sai, mi muovo sempre con un certo ritardo: un po’ resto diffidente dai libri che ottengono grande attenzione iniziale non per meriti (in questo caso, il libro è balzato agli onori delle cronache italiane anche in un tam-tam di Indovina chi? è l’autrice o l’autore… o gli autori…) e un po’ perché preferisco scegliere cosa leggere senza farmi trascinare dalle mode del momento.

In ogni caso, alla fine – è evidente -, ho ceduto… con qualche anno di ritardo. Quindi, parliamo un po’ di questo romanzo.

Il mio primo pensiero, con tanto di strabuzzamento occhi, è stato: oddio! Segno che la lunga lista di personaggi mi ha spaventato subito (la prima certezza esistenziale nella mia lettura è stata: non ricorderò mai chi è chi). E invece… Obiettivamente, i personaggi sono tanti e di qualcuno devo ammettere di aver avuto bisogno di un attimo per fare mente locale, ma vengono introdotti al lettore in punta di piedi tanto da non restare sconvolti più di tanto dal loro numero. Alla fin fine, già nella loro presentazione (anche se non in quella di tutti) c’è un modo di fare, una storia, una diceria, un’azione compiuta o da compiere che lo caratterizza rendendoci l’identificazione più immediata e semplice (es.: quello che, da piccolo, tirava i sassi; quella che pulisce le scale assieme alla madre pazza; quello che è scappato con i genitori “per colpa” della pazza; quelli belli e camorristi; ect.).

E, visto che in questa recensione sono partita a parlare dei personaggi, soffermiamoci un momento in più su questi.

Raffaella è il perno di tutto… e di tutti. Da ragazzetta sporca, cattiva, dinoccolata e sveglia diventa, di colpo, donna con una mente scaltra, un’attrattiva pericolosa e, tuttavia, non del tutto conscia di sé e di chi le sta intorno.
Da sempre affamata di conoscenza, sempre vorace di notizie, informazioni, dati, sempre in lotta, sempre in movimento come se nulla le bastasse, la sua figura è persava da questa fame vorace. Una fame, comunque, destinata a spengersi nello scontro con la realtà del quartietere.
Il suo essere centro di fascino quasi mistico, da una parte, pare un peso talvolta troppo gravoso, ma dall’altra non può non essere fonte di superbia, inorgoglimento.
Insomma, sicuramente, un personaggio strutturato, controverso e particolare.

E come l’ape viene attratta dal fiore e dal suo delicato profumo, così Elena, la nostra narratrice, ma tutto il rione per la verità, è attratta dalla forza, dalla particolarità e dal fascino pericoloso di Raffaella/Lila. Il rapporto di amore/odio/competizione che si crea tra le due è un miracolo letterario, perché dubito che nella realtà tutte le cattivierie di Lila sarebbero state prese così diplomaticamente. Magari – nella realtà – le cose sarebbero andate diversamente, il rapporto si sarebbe incrinato e l’amicizia avrebbe visto una fine precoce. Qui, tuttavia, caso letterario vuole che le due siano quasi in simbiosi da essere l’una l’ombra dell’altra in un misto di fiducia, affetto e, be’, forse un pizzichino di altro (ma, se deciderò di leggere i restanti libri, darò una conferma più avanti). Nonostante questo loro procedere in parallelo, alla fine si assiste a una progressiva inversione dei ruoli e delle dipendenze interne del duo tanto che diventa quasi dubbio dire chi delle due sia effettivamente “L’amica geniale”: la preminenza iniziale e la genialità innata di Lila cede via via il passo a Elena, che, potendo continuare a studiare e ad applicarsi, accresce i suoi orizzonti – e la sua genialità – fino a sentirsi quasi un pesce fuori d’acqua nello stesso rione in cui è nata e cresciuta.

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I fatti – all’inizio – vengono esposti con un ritmo molto particolare, a tratti simile al flusso di coscienza. Infatti, Elena li riporta in ordine cronologico, ma poi la spinta dei pensieri e dei ricordi sembra più forte e si va avanti o indietro nel tempo per poi riprendere il discorso cronologicamente prima o dopo rispetto a dove lo si era interrotto. Potrebbe apparire caotico e, in effetti, è un libro che va letto – almeno nella sua parte iniziale – con attenzione e sarebbe meglio leggere un capitolo intero, senza interrompere la lettura al paragrafo. Questo perché, in un certo senso, i capitoli sono come dei micro-episodi autosufficienti (quelli iniziali legati all’infanzia delle protagoniste). Superata la fase dell’infanzia, lo schema narrativo torna – diciamo – su binari conosciuti (non saprei dire se si tratta di una scelta voluta): l’ordine cronologico è rispettato, i capitoli sono uno l’evoluzione e l’ampliamento del precedente.

Detto questo, però, non si può certo dire che la storia sia “geniale” o innovativa. Si tratta di crescita e formazione, di ruoli che si scambiano, di strade che s’intrecciano per allontanarsi di nuovo, di bisogno di rivalsa, di sogni gloriosi e vanagloriosi. Shakerati con un pizzico di molestie pedofile, di attenzioni ossessive, di paroloni e botte da “uomini veri“, di duro confronto/scontro con la realtà (anzi, le realtà perché non per tutti il cammino e le possibilità sono le stesse), di manate per meglio far comprendere un concetto e anche uno spruzzo di sana rassegnazione. Certi colpi di scena vengono buttati lì come una rete in mare e rapidamente ritirati su come se non fosse mai accaduto nulla; giusto una parentesi di non troppo interesse o peso nella narrazione.
Alla fin fine, non è niente di diverso dalle storie che ho già avuto modo di leggere, riferite sempre allo stesso contesto disagiato, privo di possibilità, di sogni e di rivalsa. Magari l’ambientazione era una città e un dialetto diverso, ma il quadro di riferimento offerto ai personaggi lo stesso.

Tuttavia, ho apprezzato il modo in cui il quartiere è rappresentato più che altro per la voce, più o meno riuscita, che viene data a molti dei personaggi pur continuano a presentare tutto dal punto di vista di Elena, indefessa narratrice. Certo, il contesto zona degradata=gente rancorosa e priva di interessi fa da sfondo per quasi ogni movimento e decisione e anche qui: nulla di nuovo.

Quello che mi ha affascinato di più è stata la capacità della Ferrante di rendere viva e mutevole l’aria del rione a seconda del momento teso o sereno in avvicinamento. I personaggi secondari (cioè non Lila) che si muovono sulle sue strade sono, comunque, caricaturali e “tipici” del luogo (disagiato, v. sopra): il fedifrago che si ammanta di buona educazione; la psicopatica del quartiere; la ragazza di belle speranze che realizza l’esistenza di una realtà diversa; il figlio dello scarpaio che sogna in grande; altri figli che seguono le orme dei padri; ect.

Tuttavia, la conclusione tronca proprio in mezzo all’azione mi ha onestamente infastidita. Capisco la necessità di diluire la storia in più volumi (anche se si potrebbe, in verità, condensare in molto meno), ma non di interrompere la narrazione proprio nel suo svolgimento (obbligando il lettore a prendere il successivo libro per capire come si conclude la scena… perché non è questione di storia “stronca”, quanto proprio di scena spezzata a metà! Mi spiace ripetere il concetto, ma sono rimasta davvero basita… e infastidita).

Non mi sorprendo che la quadrilogia – come la chiamano – abbia avuto un così grande impatto negli Stati Uniti e in Canada (sì, perché prima è esplosa là; poi è tornata qui dove ci siamo resi conto a scoppio ritardo del libro e ha fatto il botto definitivo con la questione del premio Strega, dove ha trovato come “padrino” e sostenitore nientepopodimeno che Saviano).
“L’amica geniale” è tutto quello che gli americani vogliono vedere dall’Italia: un’Italia passionale, talvolta grottesca nelle sue pulsioni, fatta di rioni, bulletti, uomini allupati e maneschi, donne-solo-casa e scarsi orizzonti, onore e rispetto.

Intendiamoci, non è un libro brutto. È molto scorrevole, i personaggi e il rione sono ben descritti (anche se, ripeto, non si tratta di nulla di nuovo), ma non è nulla di eccezionale come il clamore che gli è stato fatto d’intorno farebbe invece pensare. Per carità, buono per la Ferrante (chiunque lei sia) e per la casa editrice che la pubblica, ma personalmente non ci vedo nulla di così fantasmagorico.

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