La fine della solitudine recensione

Titolo: Vom Ende der Einsamkeit
Autore: Benedict Wells
Genere: Romanzo
Anno di pubblicazione: 2016
Titolo in Italia: La fine della solitudine
Anno di pubblicazione ITA: 2017
Trad. di: Margherita Belardetti

– Ho ricevuto una copia di questo libro in cambio di un’onesta recensione –

Abitano a Monaco i Moreau, ma tutte le estati tornano in Francia dove padre e madre sono originari. Cantano sotto l’albero e scartano i regali insieme quando è Natale. Litigano, giocano… semplicemente vivono tutti insieme. Una normalissima famiglia, insomma.

Questa loro quotidianità però s’interrompe quando i due genitori sono vittime di un brutto incidente stradale e perdono la vita.

I tre figli Marty, Liz e Jules vengono separati e infilati in istituto.

Soli e sballottati, ognuno dei tre cercherà di far suo un piccolo angolo di mondo nella speranza di trovare un formula ad hoc per vivere la loro vita.

Ma Liz cala le sue carte in fretta; Marty le cela con attenzione e Jules ancora non ha trovato quelle giuste.

Le esperienze, le scelte, le paure, i sogni e i ricordi plasmeranno questi ragazzi e incanaleranno la loro vita adulta verso scelte e situazioni fondamentali e irrimediabili.

Non è semplice: una mattina ti svegli e tutto non potrebbe essere più normale. E poi la sera… nulla, ti ritrovi catapultato senza nemmeno capire come in una vita non tua. Una vita in cui le tue più grandi certezze, i tuoi pilastri non ci sono più.

E c’è rabbia, c’è dolore, c’è paura. E c’è solitudine.

Pur trovandosi sulla stessa griglia di partenza con lo stesso identico bagaglio di esperienze e ricordi, i tre ragazzi vivono questa nuova condizione in tre modi diversi procedendo a vista lungo una rotta ancora da plasmare.

Se i ragazzi dimostrano in questo libro di barcamenarsi alla meno peggio cercando di acciuffare le cime prima che le vele si slabbrino, le controparti femminili invece dimostrano di non essere proprio delle buone navigatrici.

Tendenti all’autodistruttismo, le giovani donne usano il loro corpo per punirsi incapaci di apprendere un altro modo per esternare la loro sofferenza.

Tuttavia, questa imperfezione nei personaggi e i loro goffi tentativi di restare a galla nella tempesta della vita li rendono vibranti (sebbene qualcuno di loro mi sia rimasto comunque indigesto).

Alla fine il loro perdersi per poi ritrovarsi, la loro costante ricerca di un’unione (eppure anche la paura di questa unione) rende i personaggi del libro scalpitanti.

Jules è il nostro narratore ed è ovvio empatizzare più con lui che con gli altri fratelli dal momento che la storia segue le sue vicende e il suo punto di vista. Infatti, l’attenzione verso le storie dei fratelli è sicuramente inferiore rispetto a quella dedicata a Jules (e si concentrata più sui suoi di affetti).

Tuttavia, soprattutto nei primi capitoli, si resta un poco infognati di una narrazione che stenta a decollare con eventi insulsi e confusi in continui flashback, esagerati in un malessere un po’ auto-commiserante (di cui ammetto di non essere una grande fan).

C’è qualcosa di scomposto in questo romanzo da renderlo sicuramente profondo (soprattutto con riferimento alla seconda metà del libro con la comparsa di Romanov), ma alcuni passaggi risultano indigesti e un po’ pretenziosi nella loro parte descrittiva.


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