Come funzionano i romanzi recensione

come funzionano i romanziTitolo: How fiction works
Autore: James Wood
Genere: Saggi
Anno di pubblicazione: 2008
Titolo in Italia: Come funzionano i romanzi
Anno di pubblicazione: 2010

Scovare questo libro non è stato per niente facile. Il mio primo viaggio, quindi, prima ancora di leggere è cominciato con un giro convulso e infruttuoso di librerie. Uno scambio tipo:

IO: “Avete Come funzionano i romanzi di James Wood?”
LIBRARIO/A: * Sguardo sbigottito *

Da qui le domande poi potevano variare (e essere ripetute più volte nel giro di un paio di secondi) tra: chi?, dimmi il titolo, come hai detto che si chiama l’autore?, dimmi il titolo (x2), come?, cosa?, sei sicura? (quest’ultima è la mia preferita… no; io mi diverto a entrare nelle librerie e fare gli abbocchi ai librari chiedendo libri a caso. È un hobby!).

Insomma, non sto a dilungarmi troppo. Alla fine, l’ho trovato (non in libreria). E questo è il mio commento!

citazione wood 1

Il libro è una grande considerazione sulla letteratura e sul leggere in generale. Suddiviso in svariati capitoli e paragrafetti, Wood ci conduce nella sua versione del mondo di carta degli scrittori più noti (Flaubert, Elliot, Austen, Shelley, Dostoevskij…) e anche recenti (Le Carré, Saramago).

Non so perché (no, in verità, sì: è stata una libraria a dirmi che il libro era fuori catalogo perché troppo vecchio… quindi, io mi ero fatta un’idea di matusa… sbagliata) ma mi ero fissata questa idea che il romanzo fosse stato scritto attorno ai primi anni del ‘900… se non prima. Immane, quindi, la mia sorpresa quando mi sono ritrovata una condivisibile stiletta alle recensioni su Amazon! Non te la spoilero, ma condivido il commento espresso e ritengo che sia benissimo estendibile anche oltre Amazon. Mentre si fa/scrive una recensione, un commento non si può semplicemente dire/scrivere: non mi piace perché non mi piace. Il “mi piace” – legittimo – deve essere motivato. E poi, siamo d’accordo, ci possono essere mille considerazioni e interpretazioni diverse che a me fanno pensare a un capolavoro e a un altro a una ciofeca, ma si deve motivare, spiegare.

Andiamo avanti.

Il primo patto da rispettare quando ci si avvicina a un libro? Be’, si tratta di un accordo tacito, silente che corre tra scrittore e lettore. È la finzione. Il lettore deve stare all’inganno dello scrittore, che gli occhieggia a ogni rigo, fingendo di credere che la storia raccontata sia vera. E lo scrittore deve narrare, ma con attenzione perché l’errore è sempre dietro l’angolo. Dalla scelta del punto di vista alla realizzazione dei personaggi, degli ambienti, passando attraverso i dettagli. Calibrare, aggiustare, dosare con precisione: mai abbondare troppo né trattenere avidamente particolari.

citazione wood 2

Il dettaglio garantisce, infatti, una certa dose di realismo; un’espressione particolare in un determinato momento colorisce un personaggio, ma attenzione perché dietro ogni aggiunta si nasconde un rischio! Un piccolo dettaglio potrebbe essere un pugno in un occhio se sistemato nel momento o nel punto sbagliato; e un’espressione potrebbe risultare falsata, messa lì palesemente dallo scrittore, e far così storcere il naso al lettore.

E lo scrittore si deve giostrare in questo. Deve raccontare una storia, ma non deve mai palesarsi troppo. Per questo ha vari trucchi da poter usare e la capacità di dosare questi strumenti è ciò che lo rende uno “stilista”.

Da classico, quasi formale, lo stile narrativo diventa qualcosa di più: diventa reale. Wood segna questo scambio come una sorta di pre e post Flaubert. Lui (e i suoi successori) osservano il mondo, ne tratteggiando persino i dettagli più insignificanti e abietti, guardano anche al più umile dei personaggi secondari come una tela di un grande capolavoro. Ma la finzione apparentemente casuale e il dettaglio apparente insignificante sono il frutto di uno studio attento, preciso e accurato. Loro osservano il mondo e poi, una pennellata sì e una no, lo riportano su carta con meticoloso realismo. E questo loro sforzo creativo è celato e deve esserlo se vogliamo che il lettore accondiscenda al segreto patto iniziale (creadere alla storia).

Ma chi non abbonda di dettagli non vuol dire che non sia scrittore. Ci sono infiniti modi per descrivere un personaggio, un luogo o una situazione senza necessariamente prestare attenzione allo mosca che affoga nel piatto.

I dettagli possono aiutarci a inquadrare una persona, ma solo le sue azioni, i suoi modi di fare ci consentono di comprendere appieno la profondità. Quindi, ciò che lo scrittore deve fare non è tanto descrivere un personaggio, quanto costruirlo in modo tale da renderlo credibile, vero.

A questo proposito, mi sono tornate in mente le parole di King nel suo “On Writing autobiografia di un mestiere“: non c’è modo migliore di delineare un personaggio per farlo comprendere al proprio lettore ché farlo agire. Per essere “vivo” il personaggio si deve muovere.

E qui veniamo al capitolo interamente dedicato ai personaggi. Se, su certi aspetti, posso essere d’accordo (per esempio che non conta quanto un personaggio ci sta simpatico o meno ma dovremo imparare a leggerlo solo come ce lo presenta lo scrittore e se riesce a renderlo sufficientemente vero), ho trovato alcuni richiami e analisi di determinati personaggi un po’ troppo semplicistici o, di contro, più elaborati di quanto in verità non volesse lo scrittore.

Ma in fondo anche è questo è il bello della lettura: le parole sono lì, uguali per tutti, ma le interpretazioni che di esse si fanno possono essere diametralmente opposte.

Tuttavia, ci sono alcune cose che non mi sono quadrate molto. La prima di queste è l’atteggiamento che traspare tra le righe di Wood. Spesso cade in qualche autocelebrazione e si mostra un po’ troppo bravino per i miei gusti dando interpretazioni talvolta un po’ troppo sempliciste o più complesse di quello che magari non sono realmente (e non solo con riferimento al comparto personaggi). Più che “storia delle tecniche narrative” si tratta di considerazioni più o meno interessanti, più o meno condivisibili. E, per carità, come ci tiene a precisare lui, Wood ha il vanto d’esser stato uno tra i primi a voler fare una cosa del genere… ma ecco in molte parte il soggettivismo è dietro l’angolo e si casca spesso in considerazioni personali sullo stile, il linguaggio, la resa dei personaggi sui quali un altro lettore può non necessariamente esservi d’accordo e mantenere legittimo il proprio dissenso. Se si tratta di una “[…] tecniche narrative per lettori e scrittori“, a me fa pensare a qualcosa di tecnico… le considerazioni personali dovrebbero essere ridotte al minimo… dal mio punto di vista.
Il saggio si conclude in tronco, senza conclusione, senza un ricapitolo, senza tirare le fila del discorso. Resti lì col libro un mano un po’ spiazzata… e mo’?

Escluse queste parti diciamo pittoresche, quando si parla più strettamente di tecniche narrative (come lo stile libero indiretto, l’uso dell’ironia celata o meno, la costruzione della frase con una certa musicalità che spesso nelle traduzioni è impossibile rendere, la scelta del linguaggio, ect.) non posso che essere d’accordo. Sicuramente, sono queste le parti (più tecniche) che possono interessare di più uno scrittore o un lettore che vuol provare a fare il professionista o avere una conoscenza più tecnica appunto dei meccanismi dietro la finzione.

valutazione come funzionano i romanzi

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